Nel sentirsi maschi o femmine sono implicati non solo il corpo ma anche numerosi aspetti sociali e culturali e caratteristiche psicologiche individuali.

In questi articoli ci stiamo occupando di: 1) il sesso biologico: 2) l’identità di genere; 3) il ruolo di genere; 4) l’orientamento sessuale, 5) l’orientamento affettivo e 6) il comportamento sessuale

L’identità di genere è il modo in cui definiamo noi stessi dal punto di vista del genere: «Sono un maschio o una femmina? o sono altro?».

Come sempre, le cose sono semplici fintanto che le si guarda da lontano. Nella maggior parte dei casi la risposta a questa domanda è collegata con il sesso fenotipico: se si ha la vagina ci si percepisce come femmine, se si ha il pene ci si percepisce come maschi e se si hanno caratteri intersessuali in alcuni casi ci si sentirà femmine, in altri maschi e in altri ancora ci si sentirà semplicemente “altro” (transgender).

Capita anche che alcuni maschi (geneticamente XY) si percepiscano femmine e alcune femmine (geneticamente XX) si percepiscano maschi. Frequentemente queste persone diventano transessuali. Approfondire la questione della disforia di genere ci porterebbe troppo lontano. Ciò che è evidente è che essere biologicamente m/f e sentirsi m/f sono dimensioni differenti e il collegamento tra questi due aspetti dell’identità non è scontato.

La cultura incide moltissimo sull’identità di genere

La definizione stessa di ciò che è “maschile” e “femminile” è dettata dalla cultura. Sentirsi maschi o femmine, come abbiamo detto, dipende in gran parte dal proprio aspetto fisico. Ma il modo in cui si esplica il maschile e il femminile non dipendono dal fisico: vestire di rosa o giocare con i soldatini non ha niente a che vedere con l’avere un pene o una vagina; avere il corpo peloso o indossare una gonna non hanno niente a che vedere con i cromosomi X e Y.

Per potersi definire maschio o femmina il bambino deve prima comprendere cosa significa “maschio” o “femmina”. Se lo chiedessero a voi, ad esempio, cosa rispondereste? I bambini fino ai 3-5 anni fanno coincidere il concetto di genere con le manifestazioni culturali del genere: essere femmina significa avere i capelli lunghi, i tacchi, la borsetta, il trucco e la gonna; si è maschi invece se si hanno capelli corti, barba, cravatta e pantaloni.

Con molta tristezza, mi è capitato di leggere articoli di persone adulte che ragionano con le stesse categorie dei bambini di 3 anni, credendo che solo i maschi possano fare l’ingegnere aerospaziale o indossare i pantaloni e solo le femmine possano mettersi il rossetto o fare la pipì sedute perché ciò è stabilito dal corredo genetico. Questi autori, prevalentemente di stampo cristiano integralista, si rifanno alla presunta “teoria gender”, una teoria che esiste solo nelle loro menti, un po’ come Don Chisciotte della Mancia che combatteva un nemico che aveva creato lui stesso e che vedeva solo lui.

Le manifestazioni culturali della mascolinità e della femminilità variano di cultura in cultura ma anche di epoca in epoca e di famiglia in famiglia

Ai tempi dei nostri nonni, ad esempio, giocare con i figli o apparecchiare la tavola erano “cose da femmine”, fumare o guidare l’auto “cose da maschi” (si veda il provocatorio autoritratto di Tamara de Lempicka). In India e in alcune nazioni africane è del tutto naturale che due uomini camminino tenendosi per mano.

Le cose permesse ai maschi e vietate alle femmine (e viceversa) vengono in gran parte apprese in famiglia per cui ci sono differenze: in alcune famiglie i maschi non possono piangere o non possono chiedere o non possono curare l’aspetto fisico; in altre famiglie alle donne è vietato rifiutare o dire di no o riuscire intellettualmente.
Con il crescere dell’età il bambino interiorizza tutte queste regole e le lega in modo quasi indissolubile alla percezione del “maschile” e del “femminile”.  Con tutti i problemi che potete immaginare.

Com’è noto, i bambini fino a una certa età non hanno la cosiddetta “persistenza dell’oggetto“, cioè quando qualcosa è fuori dal proprio campo visivo pensano che non esista più. Ciò accade anche per la costanza di genere: fino a 3-6 anni può capitare che se chiedete a un bambino se è maschietto o femminuccia vi risponderà a volte di essere “come papà” altre volte “come mamma”. Non allarmatevi: il consolidamento degli schemi cognitivi relativi al genere è una conquista graduale.
Se il bambino dice che è “femmina” o “come mamma” (e per lui le due cose sostanzialmente coincidono) o se gioca a “fare il papà” o “fare la mamma” mettendosi le scarpe coi tacchi o fingendo di radersi è perché vuole esprimere la sua stima e il suo affetto nei confronti della mamma/papà come persona, non ha nulla a che vedere con l’orientamento di genere.

In base a cosa ci percepiamo e ci definiamo maschi o femmine?

Per un buon 40% in base al sesso biologico. Per un altro 40% ci definiamo maschi o femmine in base a ciò che la cultura della nostra nazione, della nostra epoca e della nostra famiglia ci hanno detto che significa essere maschi o femmine. Nei primi anni di vita la trasmissione culturale passa quasi esclusivamente dalla famiglia, ma con il passare degli anni internet, la TV e il gruppo dei pari (amichetti, compagni di classe etc) assumono un ruolo via via più importante.

Resta un 20% (le percentuali sono solo indicative). È l’aspetto di autodeterminazione. I contenuti culturali su ciò che significa mascolinità e femminilità non vengono assorbiti in modo passivo ma richiedono una adesione. E l’adesione non avviene in blocco: ciascuno di noi accetta alcuni aspetti e ne rifiuta altri, da cui deriva che non ci sono due maschi che sono maschi allo stesso modo o due femmine che sono femmine nello stesso modo.

Il processo di identificazione con il genere si consolida con l’uscita dall’adolescenza ma in realtà continua ad essere negoziato lungo tutto l’arco di vita. Rispetto a quando eravate adolescenti, oggi per voi “essere maschio” o “essere femmina” ha un significato differente. O almeno ve lo auguro.


Dèttore D (2001). Psicologia e psicopatologia del comportamento sessuale. Milano: McGraw-Hill

Dèttore D & Lambiase E (2011). La fluidità sessuale. La varianza dell’orientamento e del comportamento sessuale. Roma: Alpes


dr Christian Giordano

Psicologo Psicoterapeuta, mi occupo principalmente di terapia di Coppia e terapia Sessuale. Esperto in psicodiagnosi e grafologia. Appassionato di saggistica, neuroscienze e letteratura, in particolare filosofia, narrativa, fantascienza e fantasy. Linux user. → Scrivimi per info e consulenze private in studio e via Skype.