Il trauma rende il mondo un luogo insicuro e imprevedibile. La psiche tenta di ricomporre le informazioni in un quadro gestibile e adotta numerose strategie di coping disfunzionale.

Il trauma, attraverso numerose modificazioni neuroanatomiche e neurochimiche, rende il mondo un luogo insicuro dal quale il soggetto con disturbo dello spettro post-traumatico si protegge con l’evitamento, l’ottundimento emotivo, la chiusura depressiva in se stesso, l’acting-out rabbioso e la dissociazione.

Memoria a breve termine e memoria a lungo termine

Dagli studi sulla memoria sappiamo che quando è rilevante e/o ripetuta l’informazione viene consolidata nel nostro sistema nervoso  attraverso due processi: sensibilizzazione a breve termine e potenziamento a lungo termine.

  • Nella memoria a breve termine il consolidamento avviene grazie alla sensibilizzazione delle connessioni sinaptiche: l’attivazione simultanea di diversi neuroni fa sì che questi stessi neuroni vengano riattivati contemporaneamente anche le volte successive  secondo la Legge di Hebb; i neuroni comunicano più velocemente grazie ai recettori NMDA che sbloccano l’ingresso al calcio rendendo più veloce la propagazione del glutammato.
  • Nella memoria a lungo termine invece la ripetuta esposizione ai neuromodulatori fa sì che avvenga una modificazione genetica nel nucleo del neurone.  

La sintomatologia dei disturbi dello spettro post-traumatico va considerata un deficit dell’integrazione dei sistemi di memoria e della narrazione

Trauma come ritraumatizzazione

Nel PTSD e nelle altre sindromi post-traumatiche avviene una ritraumatizzazione continua, per cui la ri-esperienza del ricordo traumatico fa sì che questo ricordo venga consolidato a lungo termine nella memoria del paziente e sia quindi difficilmente estinguibile.

Il fatto che spesso questi pazienti abbiano sogni o incubi nei quali rivivono le scene traumatiche testimonia che il sistema nervoso, nel processo di consolidamento che avviene durante il sonno SW, è impegnato a ripassare la scena (replay) per poi immagazzinarla durante il sonno REM. Il processo di ritraumatizzazione esita in alterazioni neurobiologiche che, in chiave narrativa, possono essere letti come frammentazione del senso del sé e incapacità di contestualizzare negli schemi narrativi precedenti l’evento traumatico (deficit narrativo).

La sintomatologia dei disturbi dello spettro post-traumatico (intrusione, ottundimento, iperarousal) va considerata pertanto un deficit dell’integrazione dei sistemi di memoria e della narrazione (Giordano, 2010).

Il discorso sul trauma si sposta allora da una prospettiva oggettivistica («trauma è ciò che accade») a una che rende maggiormente ragione dei processi psicologici e delle differenze personali («trauma è ciò che interpreto come traumatico»)

Trauma è ciò che vivo come traumatico

Scriveva duemila anni fa Epitteto «Non sono i fatti a sconcertare gli esseri umani, ma i loro giudizi intorno ai fatti». Ciò significa che l’evento traumatico di per sé non avrebbe alcun effetto traumatizzante o psicopatologico se non gli venisse attribuito tale potere. Non è il fatto ad essere traumatico quando il nostro narrarcelo come traumatico che provoca una reazione rispetto ad esso, reazione in gran parte basata sui nostri Stati dell’Io, cioè sugli schemi comportamentali, cognitivi, emotivi e relazionali appresi fin dall’infanzia.

Questa regola vale per tutti gli stimoli? No, pensare che ciò che dà potere all’evento è la «pura» decisione cosciente sarebbe una visione ingenuamente volontaristica. Durante l’evoluzione il Sistema Nervoso umano ha etichettato determinate classi di stimoli come pericolosi per la sopravvivenza (rumori molto forti, movimenti improvvisi, atteggiamenti predatori, ecc.). A questi stimoli ogni essere umano risponde con la sindrome da stress descritta da Selye.

In altri termini possiamo dire che gli «inneschi naturali» generano risposte precablate attraverso meccanismi hardwired (Fodor, 1988). Queste risposte incondizionate rappresentano tuttavia un numero esiguo.

Il mantenimento delle convinzioni traumatiche

Sebbene il disagio degli esseri umani abbia numerose determinanti (genetiche e ambientali), il mantenimento di tale disagio dipende in gran parte da ciò che l’individuo continua a pensare. Scriveva Albert Ellis che gli input endogeni o esogeni non sono in grado di trasporre direttamente nel nostro sistema di convinzioni una particolare idea della realtà; siamo noi piuttosto che «trasferiamo alle nostre esperienze la capacità di disturbare noi stessi» (Dryden & Ellis, 2002: 284).

I fattori in gioco sono numerosi e connessi in modo complesso tra loro e solo una visione realmente sistemica, multimodale e multidimensionale può rendere ragione degli esiti psicopatologici del trauma (Giordano, 2010), motivo per il quale la psicoterapia è uno strumento efficace per intervenire sulle conseguenze post-traumatiche.

Il senso di continuità di sé stessi, la percezione di controllo e la prevedibilità degli eventi sono una funzione dalla memoria che viene declinata sotto forma di narrazione. Il compito principale della psicoterapia quindi dovrà essere quello di attivare gli elementi frammentati, non elaborati e non verbali dell’esperienza emotiva del trauma in modo sufficientemente blando da non ritraumatizzare il paziente, ma permettendogli comunque di tradurli in strutture verbali passibili di trasformazione.


Heim C. & Nemeroff C.B. (2009). Neurobiology of Posttraumatic Stress Disorder, CNS Spetrums, XIV(1), Suppl. 1:. 14-24.

Giordano C. (2013). Lo spettro dei disturbi post-traumatici come frattura dei processi di integrazione della memoria e della narrazione. Aspetti neuropsicologici e psicologici delle sindromi post-traumatiche, Ricerca di Senso, XI(1): 93-123.

Dryden W. & Ellis A. (2002). Terapia comportamentale razionale emotiva. In Dobson K.S. (ed). Psicoterapia cognitivo-comportamentale. Teorie, trattamenti, efficacia: lo stato dell’arte, Milano: MsGraw-Hill: 273-322.

Giordano C. (2010). Valutazione multidimensionale e diagnosi multimodale dei disturbi post-traumatici, Psicologia Psicoterapia e Salute, XVI(3): 329-362.

Salvatore G. (2004). Psicologia e patologia dei processi endomentali narrativi, Ricerca di senso, II(2): 135-174.


dr Christian Giordano

Psicologo Psicoterapeuta, mi occupo principalmente di terapia di Coppia e terapia Sessuale. Esperto in psicodiagnosi e grafologia. Appassionato di saggistica, neuroscienze e letteratura, in particolare filosofia, narrativa, fantascienza e fantasy. Linux user. → Scrivimi per info e consulenze private in studio e via Skype.