La mancata definizione degli atti tipici ha portato ad una guerra di religione tra Psicologi anti psicoterapia e Psicologi pro Psicoterapia. Chi ci rimette, come in tutte le guerre, è il popolo.
Il confine tra psicologo e psicoterapeuta è un argomento da sempre oggetto di dibattito perché non esistono definizioni legali chiare delle due professioni.
Alcuni, che non sono psicoterapeuti ma sono psicologi, leggono questa frase in questo modo:
“Non esistono definizioni chiare delle due professioni quindi non esistono distinzioni tra le due professioni quindi qualsiasi psicologo può fare quello che fa lo psicoterapeuta”
Altri, che non sono né psicoterapeuti né psicologi, leggono la frase in questo modo :
“Non esistono definizioni chiare delle due professioni quindi non esistono come professioni quindi chiunque può fare quello che fanno lo psicologo e lo psicoterapeuta”
Alcuni colleghi si appassionano all’argomento facendone una questione nominalistica.
Il nome. Tutto si riduce al nome.
Psicologi contro Psicoterapeuti, Counselor contro Psicologi, Psicologi che difendono il counseling contro Psicologi che osteggiano il counseling…
Si combatte una battaglia non sul contenuto della professione ma sull’etichetta che sta sul barattolo. Per chi conosce la filosofia, il richiamo alle dispute della Scolastica, al flatus vocis e allo stat rosa pristina nomine viene automatico. Temo però che le radici di questa crociata siano meno dotte e risiedano nel cuore stesso della cultura contemporanea, in quell’Avere o Essere (Fromm, 1976) degradato oggi in Avere o Apparire. Ha più valore il logo che il prodotto, più il baffo della Nike che il tessuto sul quale è cucito.
Del resto siamo immersi in una società in cui tutto è marketing: le strade, le tv, gli smartphone, i giornali e le radio sono assediati da una pubblicità invadente e onnipresente. E le parole della pubblicità, lo sappiamo, non hanno valore per il contenuto: il nome della cosa è più importante della cosa della cosa stessa.
È come una guerra di religione, e proprio come nelle guerre di religione dietro la folla che uccide e si fa uccidere per il Sommo Ideale ci sono interessi economici e giochi di potere di chi muove i fili e ci guadagna.
Sono gli stessi identici meccanismi dello scontro tra professioni pseudo-psy e psicologi professionisti.
È tutto un cavillare su singole parole, argomentazioni sottili, mezze frasi, interpretazioni, ossimori, distinguo… E così, addentrandosi sempre più profondamente nei meandri del bosco semiotico si finisce per smarrire la strada della logica e del buonsenso. Ancora una volta la cultura dell’apparenza ha vinto e si continua a parlare dell’etichetta invece di ragionare sui dati di realtà.
E qual è la realtà?
Un primo dato di realtà riguarda l’inadeguatezza della definizione di Psicologo. Chi denuncia lo svuotamento della professione di Psicologo, l’aver svilito la formazione universitaria e non aver mai affrontato in mono efficace la questione degli atti tipici ha pienamente ragione.
Personalmente penso che una parte del problema dipenda dal voler mantenere l’equivoco per cui tutti gli psicologi fanno una professione sanitaria. Penso anche che non dovrebbe esistere distinzione tra psicologo clinico e psicoterapeuta. E penso che la formazione in psicologia clinica sia ridondante e manchi di reale specializzazione, in netta controtendenza con il panorama internazionale e il mercato.
Il secondo dato di realtà riguarda la necessità di una formazione concreta, rigorosa e precisa per svolgere la professione clinica. Io credo che il 95% degli psicologi sia d’accordo con me se dico che non ci si può improvvisare terapeuti né si può imparare a gestire le relazioni con persone che hanno modelli relazionali disturbati esercitandosi sulla loro pelle.
Sarebbe come se un chirurgo usasse il bisturi a casaccio fino a che non impara (cit. Eric Berne). E non è per niente vero che in questo settore si impara dagli sbagli: se non c’è un iter formativo che ti metta nelle condizioni di riconoscere quali sono gli sbagli e qualcuno che ti supervisioni dall’esterno potrai continuare a sbagliare all’infinito senza mai imparare. Pensare di riuscire ad autoformarsi leggendo qualche libro o guardando videoguide su YouTube sarebbe è presuntuoso.
Tutti, sia gli Psicologi pro Psicoterapia che gli Psicologi anti Psicoterapia, concordiamo sul fatto che per apportare un cambiamento significativo, scientificamente fondato ed empiricamente verificabile in persone che soffrono di disturbi psicologici è necessario acquisire competenze specifiche e concrete.
I pazienti meritano professionisti preparati e capaci.
Ma allora, se tutti siamo d’accordo, su cosa si combatte la guerra?
L’ho già detto: sull’etichetta. Gli psicologi onesti – quelli che non hanno interessi loschi né cercano una scorciatoia per fare un lavoro senza averne le competenze – desiderano ed esigono acquisire competenze teoriche e pratiche. Vogliono, cioè, una formazione in psicoterapia. Ma non vogliono chiamarla psicoterapia.
Personalmente non sono affezionato al termine psicoterapia. Se si sostituisce l’etichetta non mi cambia nulla. Basta che una formazione specifica, legalmente regolamentata e verificata ci sia e che sia seria e professionalizzate. Perché per me non si tratta di una guerra di religione, ma – molto più concretamente – di una battaglia per il diritto alla salute dei pazienti e per i diritti di noi Psicologi ad essere messi nelle condizioni di essere autentici professionisti.