Qual è il motivo per cui la Pasqua non è “sentita” come il Natale o altre feste? Fondamentalmente perché la Pasqua è una festa adulta e oggi il ruolo dell’adulto è stato abdicato.

L’immagine più potente della Pasqua ebraica sono le due colonne d’acqua del Mar Rosso che segnano l’uscita dalla condizione di schiavitù e la conquista della libertà. In realtà la fuga dall’Egitto è solo l’inizio, un po’ come il passaggio del guado di Bruinen e l’arrivo a Gran Burrone della compagnia dell’Anello.

Dopo la pesach (pasqua ebraica) seguiranno 40 anni di vagabondaggio nel deserto, di fame, di erbe amare e pane azzimo. Nella Pasqua cristiana il protagonista è un uomo adulto deriso, abbandonato, rinnegato e sanguinante.

La Pasqua piace meno del Natale perché l’infanzia è connotata da un pensiero relazionale di “fusione” e di speranza; nell’età adulta, invece, ci si confronta con la solitudine esistenziale e la consapevolezza che la vita è ingiusta

La Pasqua può essere letta come la metafora della costruzione dell’identità, un cammino lento, pieno di incertezze e di rischi. Come il popolo ebraico, anche l’uomo nel diventare adulto spesso si volta indietro con nostalgia, rimpiangendo la condizione infantile. E nel cammino ha la tentazione di delegare agli “idoli” il compito di dirgli qual è la sua identità.

Gesù, l’uomo nuovo, è posto dal cristianesimo come simbolo della condizione adulta: mentre la retorica natalizia vede tutti stretti intorno alla culla a proteggere e riscaldare il bambino e ad alleviarlo da ogni incombenza, l’Uomo Adulto si confronta spesso col tradimento, l’abbandono, l’incomprensione, la critica, il dubbio, la paura. Gesù che suda sangue nel Getsemani rappresenta il tormento della decisione e la consapevolezza che ad ogni scelta seguono delle conseguenze.

Ecco perché la Pasqua “piace” meno del Natale: l’infanzia è connotata da un pensiero relazionale di “fusione” e di speranza; nell’età adulta, invece, ci si confronta con la solitudine esistenziale e la consapevolezza che la vita è ingiusta. In altri termini, il Natale è caratterizzato dal pensiero magico mentre la Pasqua è ancorata al principio di realtà.

Perché la Vittoria pasquale non ci affascina

La Pasqua è l’eterna lotta tra bene e male, vita e morte, luce e tenebre, annullamento e rinascita. Ma proprio perché è eterna questa lotta sembra quasi immobile. La teologia cristiana si propone di superare l’equilibrio statico di yin e yang, ma mentre il passaggio del Mar Rosso per gli ebrei non è un traguardo ma una tappa, la resurrezione, cioè il passaggio dalla morte alla vita, rappresenta la conclusione, il dies octavus. Il tema della rinascita è universale, si trova in tutti i miti (si pensi al sonno di Odino, la Fenice e il ratto di Persefone/Proserpina).

L’essere umano ha bisogno di tensione, di attività finalizzate, di sfide, di un orizzonte di senso che rimanga orizzonte: se raggiungiamo l’orizzonte non c’è più cammino da fare. Carl G. Jung spiegava che la psiche umana tende all’osmosi e all’equilibrio, ma raggiungerlo significherebbe la morte. Il Cristo Risorto è l’emblema stesso della stasi, per questo affascina molto meno del Homo Patiens (per usare un titolo di V.E. Frankl).

Non è un caso che la cultura e la tradizione cristiani abbiano scelto un simbolo pre-risurrezione e che nei 20 secoli di cristianesimo sia stato dato più ampio spazio alla passione, alla sofferenza e alla lotta piuttosto che ai temi giubilari (il segno della croce, le chiese con i crocefissi, il cuore con le spine, la via crucis etc.).

Ma del resto la pasqua è un racconto e come in tutti i racconti epici il raggiungimento dell’obiettivo occupa i paragrafi finali, a volte solo una riga. Pensiamo a I promessi sposi, Pretty Woman, Gilgameš, Il Signore degli Anelli, Faust, la Turandot, Star Wars, Re Artù, Harry Potter.

L’abdicazione dallo status Adulto

La simbologia della Pasqua sollecita la decisione, la responsabilità, la scelta, la frustrazione, il sacrificio, la capacità di procrastinare e di orientarsi all’obiettivo: tutte facoltà tipiche dell’Adulto. Per questo le festività pasquali hanno poco appeal: nella cultura contemporanea nessuno vuole essere più adulto.

Ci definiamo “ragazzi” anche a 50 anni; abbiamo annullato le differenze nel modo di parlare, di vestire, di lavorare, di fare politica; condividiamo gli stessi interessi e gli stessi programmi in TV.

I social network hanno esasperato questo livellamento per cui se apriamo Facebook si fa fatica a distinguere le pagine di un 60enne da quelle di un 15enne. E anche quando sono qualitativamente diversi, il web tende a farle percepire come omogenee. Agli occhi dei più, le riflessioni di Zagrebelsky valgono quanto gli insulti di un adolescente ripetente.

Nella nostra cultura l’Adulto è assente e la morte è un tabù. Può essere utile riflettere sulla nostra storia personale lasciandoci suggestionare dalla simbologia e dalla narrazione dell’Avadim:

«Un tempo fummo schiavi del Faraone in Egitto…».


dr Christian Giordano

Psicologo Psicoterapeuta, mi occupo principalmente di terapia di Coppia e terapia Sessuale. Esperto in psicodiagnosi e grafologia. Appassionato di saggistica, neuroscienze e letteratura, in particolare filosofia, narrativa, fantascienza e fantasy. Linux user. → Scrivimi per info e consulenze private in studio e via Skype.