Chi lavora in ambito clinico e in ambito non clinico ha necessità di conoscenze, competenze, strumenti e formazione differenti. Tutto ciò cosa implica?
La questione dell’obbligo di formazione continua inizia a far dire ad alta voce una cosa che finora si è sempre taciuta o si è detta a mezza bocca:
Non tutti gli psicologi sono professionisti sanitari.
Lo sappiamo tutti che non esistono solo gli psicologi clinici
Sono la percentuale maggiore, certo, e nell’immaginario collettivo lo psicologo è uno che cura, ma esistono anche psicologi che non si occupano di clinica.
Finora questo argomento è stato un tabù e non se ne è parlato. In alcuni casi attuando una negazione (“Non vedo dov’è il problema”) in altri ricorrendo alla razionalizzazione (“In fondo tutto è clinica”). Al di là dei sofismi, è evidente che le competenze necessarie per valutare il clima aziendale e gestire il personale in un’organizzazione sono differenti da quelle necessarie per diagnosticare un disturbo borderline o gestire un lutto.
Delegare i propri compiti “al mercato” è sempre una pessima idea. Anzi, non è neanche un’idea, si chiama lavarsene le mani.
Conseguenze
Eppure dall’aver evitato la questione derivano diverse conseguenze. Vi faccio alcuni esempi (ma tenete conto che la lista è molto più lunga):
- Chi si è formato in ambito non-clinico fa lo stesso Esame di Stato di chi si è formato in ambito non clinico e ha lo stesso titolo professionale.
- È quasi impossibile definire gli atti tipici dello psicologo. Eppure sappiamo che ne abbiamo estremo bisogno perché counselor, grafologi, sciamani etc. invadono il nostro ambito proprio sfruttando la scarsa definizione degli atti tipici.
- Non si può fare una riforma concreta ed efficace dei percorsi di studio se non si differenziano in modo netto i due ambiti: costringere chi vuole diventare psicologo del lavoro a fare ore di psicopatologia, neuropsicologia, tecniche di colloquio etc. a che serve? E soprattutto, non si potrebbero fare esercitazioni e corsi più abilitanti e più specifici anziché dare una preparazione generica in modo che escano fuori veri psicologi clinici o del lavoro? (veri = che escano dall’università sapendo fare il proprio mestiere).
- Anche chi non ha ricevuto una formazione clinica il giorno dopo l’EdS può aprire il suo bello studiolo con due poltrone o un lettino e fare sostegno psicologico, valutazione psicodiagnostica etc. come se fosse un clinico e viceversa.
- Il Ministero sta completando l’annessione della professione di psicologo come professione sanitaria. Tutti gli psicologi.
Ci pensa il mercato?
Si dirà: ci penserà il mercato a selezionare chi è competente e chi no. Finora è così che hanno funzionato le cose. Ma selezionare i professionisti e assicurare che lo psicologo abbia le competenze necessarie è compito dello Stato (e quindi delle Università e degli Ordini nelle mansioni che lo Stato delega loro). Delegare i propri compiti “al mercato” è sempre una pessima idea. Anzi, non è neanche un’idea, si chiama lavarsene le mani. Mi viene anche in mente che tra l’altro è lo stesso identico argomento che usano counselor, pedagogisti clinici etc. “Sarà il mercato a decidere”.
Io dico di no.
Se tu, Stato, dai ad una persona il tesserino da psicologo devi garantire che sia in grado di fare ciò che dice la Legge, cioè sostegno, diagnosi e ri/abilitazione. E che lo sappia fare sul serio. E se mi dichiari “professionista sanitario” allora devi garantire che io sia capace di operare in ambito sanitario.
È compito dello Stato riformare i percorsi di laurea, le regole per l’abilitazione e le competenze per potersi definire “professione sanitaria”. Ma è compito del CNOP, degli Ordini, delle Associazioni di categoria e di ogni singolo professionista – ciascuno con i mezzi e i modi che gli competono – chiedere allo Stato che faccia le riforme che ci servono. Cosa vuoi che ne sappia il Ministro di turno di come vanno le cose nei tirocini, nelle aule universitarie etc?
Sanitari ma non troppo
Con la richiesta di ridurre il tirocinio a 6 mesi e l’EdS a 2 prove (che poi si è scoperto che non è una riduzione, ma si propone di fare 6 mesi durante il corso di laurea e 6 mesi nel post lauream) il CNOP ha iniziato se non altro a smuovere le acque. Ma non basta fare qualcosa. Bisogna farla bene.
Se metto le mani su uno che ha avuto un incidente stradale bisogna che sappia cosa sto facendo sennò rischio di fargli pure peggio. Il CNOP ha detto che si tratta del primo tassello di una riforma più generale e più radicale (l’abolizione del 3+2, la professionalizzazione dei corsi etc.). Ora, dopo la “notizia” che il Ministero vorrebbe imporre il sistema ECM a tutti gli psicologi (del resto vogliono essere tutti professione sanitaria, no?) e che, se saranno a pagamento, tutti gli psicologi dovranno mettere la mani nelle tasche, finalmente si inizia a distinguere tra chi opera in ambito clinico da chi opera in altri settori.
Dovrei essere contento che ora finalmente se ne parli, visto che sollevo l’argomento da anni. E infatti lo sono. Ma lasciatemi dire che è davvero triste che se ne parli solo perché adesso ci sono di mezzo i soldi.