La farmacodipendenza è un comportamento caratterizzato dalla compulsione nell’assunzione del farmaco che, nel caso venga contrastata o procrastinata, provoca il fenomeno dell’astinenza e che richiede dosi sempre più elevate di sostanza per garantire il suo effetto psicotropo (assuefazione).

La farmacodipendenza è un fenomeno piuttosto complesso, difficilmente circoscrivibile e relativamente sconosciuto. Il farmacodipendente non interessa i media perché non è diventato uno stereotipo sociale (come, ad esempio, l’eroinomane, il cocainomane, l’alcoolista etc.). Eppure la farmacodipendenza interessa ampie porzioni della popolazione mondiale, con gravi ricadute sulla salute individuale e sulla spesa pubblica.

La dipendenza da farmaci presenta le stesse caratteristiche di quella da droghe sintetiche, e ciò non stupisce se consideriamo che le droghe sintetiche sono nate quasi tutte con scopi terapeutici. Ad esempio Sigmund Freud divenne dipendente da cocaina mentre la sperimentava su di sé come nuovo farmaco. L’LSD invece fu inizialmente usato in psicoterapia per il trattamento della schizofrenia, della depressione e dell’autismo e la morfina era utilizzata in sciroppi per la tosse.

 

Come riconoscere un farmacodipendente

I farmaci, a differenza delle droghe, hanno un utilizzo legale per cui il farmacodipendente non viene guardato male o con sospetto (come con i drogati) e si finisce con l’accorgersi del problema solo quando ha una intossicazione acuta. È molto difficile stabilire quando una persona passa dall’uso terapeutico all’abuso. Sta usando troppo farmaco? Per troppo tempo? Come capirlo? Le differenze nel dosaggio, nella somministrazione e nei tempi e modi di assunzione sono certamente utili indicatori, ma molto spesso tali criteri si sovrappongono a quelli terapeutici rendendo difficile la discriminazione tra farmaco e droga (che, significativamente, in lingua inglese si chiamano entrambi drug). Il principale criterio di demarcazione va individuato in una dimensione fondamentale della psiche umana: la motivazione, cioè la ragione per cui siamo spinti ad utilizzare una determinata sostanza. Chiaramente il farmacodipendente è l’ultima persona ad accorgersi della propria dipendenza e tende a giustificare con motivazioni mediche la necessità di assunzione della sostanza.

L’aspetto motivazionale è il criterio basilare per distinguere tra uso terapeutico (remissione dei sintomi e sollievo di una forma di disagio pervasivo, stabile e disabilitante) e uso ricreativo o abuso (miglioramento della performance, ottundimento delle facoltà cognitive, disinibizione…).

 

Che differenza c’è tra un farmaco e una droga?

Un altro motivo per cui è difficile riconoscere un farmacodipendente è che le potenziali sostanze oggetto di abuso sono numerosissime, basti pensare che in Italia ogni anno vengono autorizzati circa 500 nuovi farmaci. La nostra cultura della “pillola magica” non solo non offre elementi protettivi e contenitivi del fenomeno ma anzi spinge i soggetti alla ricerca del rimedio più veloce che agisca sui sintomi e richieda al soggetto una minima o nulla partecipazione della volontà.

Il farmaco miracoloso è la soluzione invocata per qualsiasi difficoltà. È un dato di fatto che molti dei genitori che richiedono al servizio sanitario la prescrizione del Ritalin per i propri figli non hanno a che fare con un bambino iperattivo ma solo con un bambino vivace e curioso. Allo stesso modo è sconfortante la facilità con la quale alcuni medici prescrivono antidepressivi a persone che hanno subito un lutto o prescrivono Viagra a venticinquenni che hanno avuto una defaillance.

 

 

Riprendersi il potere sulla propria vita

La società occidentale, però, piuttosto tollera la dipendenza dai farmaci o da qualsiasi altra forma di ottundimento piuttosto che modificare i propri ritmi. L’importante è che la “pillola magica” agisca sui sintomi e non richieda al soggetto impegno al cambiamento. Lo stesso vale per le liposuzioni, le chirurgie plastiche, le pastiglie mangia-ciò-che-vuoi-e-dimagrisci, i prestiti veloci senza garanzie… tutti mercati floridi che, amplificati dai media, costruiscono una cultura della deresponsbilizzazione alla quale anche il professionista della salute mentale rischia di aderire senza esserne consapevole.

Un buon percorso di psicoterapia porta alla consapevolezza che la sofferenza fa parte della vita ed è inevitabile, il limite fa parte della vita ed è inevitabile. Alcune sofferenze e alcune limitazioni sono invece evitabili perché dipendono da noi. Ciò che è in nostro potere è decidere cosa vogliamo fare di ciò che siamo, di ciò che abbiamo e del tempo che viviamo.


dr Christian Giordano

Psicologo Psicoterapeuta, mi occupo principalmente di terapia di Coppia e terapia Sessuale. Esperto in psicodiagnosi e grafologia. Appassionato di saggistica, neuroscienze e letteratura, in particolare filosofia, narrativa, fantascienza e fantasy. Linux user. → Scrivimi per info e consulenze private in studio e via Skype.