Il ruolo di genere dipende dalla Cultura o dalla Natura? Se mia figlia gioca con le Barbie e con il DolceForno è perché ha la vagina e un cervello diverso da quello degli uomini? E il mio bambino gioca con le macchinine e il pallone è perché ha il pene e un cervello diverso da quello delle femmine? O perché gli viene imposto dalla società?

Una lettrice (che chiamerò Giulia) mi chiede: ma se faccio giocare una bambina con giochi neutri o da maschio poi cosa farà da grande? Smetterà di fare “cose da femmina”? Rifiuterà di mettere i tacchi a spillo e i leggins? Si truccherà? Andrà dal parrucchiere e farà la ceretta? Le piacerà lo shopping? Vorrà fare figli?

«La domanda potrebbe essere un po’ intricata perché non so bene come esprimerla. Se ad esempio si prendesse un bambino e lo si facesse crescere nella più totale neutralità sessuale (giochi che non siano né bambole né macchinine) da adulto avrebbe quei comportamenti che si confanno appunto agli aspetti maschili (o se femmina) femminili?

Oppure ancora, se io prendo un bambino (maschio) e gli dico che è normale ad esempio giocare con le bambole, truccarsi, o tutto quello che farei fare a una bambina, poi da adulto farebbe quelle stesse cose? Cioè in questa società si parla molto di parità di genere e di non dare ai bambini delle etichette (cosa di cui sono molto d’accordo) ma basta questo a stabilire il comportamento maschile e femminile? Cioè se io do una bambola a una bambina diventerà mamma e se invece le do giocattoli da maschio smetterà di avere propensioni materne? Non so se mi sono espressa bene.

La domanda mi è sorta guardando una pubblicità in cui bambine venivano fatte giocare con macchinine e crescevano maschiacci (in senso positivo) inneggiando alla diversità di ruoli. E vedendo una scena di un telefilm in cui a un bambino veniva messo dello smalto sui piedi. Io sinceramente non capisco fino in fondo quanto possa influenzare la cultura e – e qui ti dico il nocciolo della questione – che cosa si intende per atteggiamento maschile e femminile. Non riesco a darmi una risposta. So che può essere sbagliato da pensare e non pretendo che lo pensino gli altri. Ma per me uomo è: forza, protezione, decisone. La donna: forza, sensibilità, accoglienza.

E quindi, se il mio ideale fosse influenzato (oltre che da esperienze personali) anche da una visione distorta della società? Vedi, tante domande poche risposte».

Su questo argomento ho già scritto gli articoli Il ruolo di genere, L’identità di genere e Il comportamento sessuale e un altro articolo con riflessioni più generali Chi decide ciàò che siamo? L’identità come interazione tra geni e ambiente. Vi rimando a questi per approfondire ulteriormente.

Nel rispondere a Giulia non ripeterò ciò che ho già scritto in quegli articoli ma mi concentrerò su cosa va definito come maschile e femminile e com’è il comportamento “naturale” di un bambino allevato senza stereotipi di genere.

I Kibbutzim: lo stato di neutralità assoluta non esiste

La domanda che molti psicologi, sociologi e antropologi si sono fatti è: se alleviamo i bambini in una condizione di parità di genere assoluta cosa succede? Sarebbe molto interessante poter avere una risposta a questa domanda, il problema è che una condizione di neutralità assoluta non esiste. Lo dimostrano le Case dei Bambini e le esperienze femministe.

Molti animali hanno una organizzazione dell’allevamento gruppale dei cuccioli (ad esempio i leoni). Per gli animali però la differenza del ruolo di genere non esiste: giocano, mangiano, dormono etc. senza differenze di comportamento. Le differenze si notano solo nella caccia, nei riti di accoppiamento, nell’allevamento della prole. Comportamenti che comunque, a differenza dei nostri, durano pochissimo e che spesso non sono come ce li aspetteremmo: in molte specie sono le femmine che vanno a caccia, in altre i maschi allevano i piccoli etc.

Anche in molte culture i bambini venivano allevati in gruppo, ad esempio i Trobiandesi. Un esempio molto citato è quello Kibbutzim israeliani, di cui trovate un’ottima sintesi in questo articolo di Lucio Izzo: La Casa dei bambini: un’esperienza conclusa?

Poiché nei Kibbutzim i bambini venivano allevati senza restrizioni e senza imporre modelli di genere – un po’ come nell’Émile di Rousseau, in cui si immagina un bambino che cresce in modo “naturale”- molti li hanno usati come esempi di cosa succede quando la cultura non interferisce con la natura. E hanno concluso che “la natura vince sulla cultura” perché questi bambini mostravano alcuni comportamenti stereotipici.  Il problema è che in realtà non solo nelle Case dei Bambini c’erano differenze di genere ma vennero presto lamentate disparità di genere. Anche le prime comunità di donne femministe hanno tentato una educazione senza stereotipi di genere, il punto è che se volessimo davvero creare una situazione neutrale dovremmo innanzitutto estirpare da noi stessi gli stereotipi e poi isolare completamente i bambini da qualsiasi contatto con la cultura: niente libri, favole, film, canzoni, poesie, amici…

È lo stesso motivo per cui mi fa sempre molto ridere la frase “un bambino ha bisogno di un modello maschile e femminile” come se la mamma e il papà fossero gli unici modelli di uomo e di donna a cui il bambino è esposto.

Bruce Brenda David: fare la pipì in piedi è stabilito da un gene?

Il caso di David Raimer è molto noto, anche Peter Jackson ha mostrato interesse sulla sua storia. In estrema sintesi, quando Bruce aveva 6 mesi gli fu asportato per sbaglio il pene. Uno famoso psicologo consigliò di allevarlo come bambina (Brenda), facendo una vaginoplastica e dandogli ormoni femminili.  Come ho già spiegato nell’articolo sulla Sindrome di Insensibilità agli Androgeni, esistono molti casi in cui bambini XY vengono allevati come ragazze e non hanno conseguenze dal punto di vista dell’identità o del comportamento.  Ma la storia di successo che raccontava Money era falsa. O meglio, molto forzata. Innanzitutto il gemello di Bruce/Brenda gli aveva raccontato di ciò che gli era successo fin da bambino. Inoltre, il loro sistema familiare mostrava una situazione di grave squilibrio, accentuato in modo pesante da quell’avvenimento. Money poi ha taciuto le  pratiche poco ortodosse e poco etiche che ha impiegato nella terapia di Brenda. A 15 anni la “bambina” decide di smettere la terapia e di cambiare sesso, facendosi chiamare David.

In una prima fase i sostenitori dell’ideologia “gender free” (prime fra tutti le femministe) hanno visto nella storia di Raimer una conferma alle loro teorie: noi nasciamo come “tabula rasa”, la divisione tra maschi e femmine è una divisione solo culturale.

Quando è venuta a galla la verità grazie allo psicologo Diamond, i sostenitori di una “differenza naturale” tra i generi hanno esultato: i comportamenti dei maschi e delle femmine sono diversi biologicamente.

E qui veniamo alla domanda centrale di Giulia: ma cosa si intende per comportamenti e atteggiamenti maschili e femminili?

Comportamenti e atteggiamenti non sono sinonimi. Iniziamo dai comportamenti, cioè da quello che maschi e femmine fanno.

Mi ha fatto molto ridere quando ho letto che la prova che Bruce/Brenda avesse una spinta biologica maschile è che pretendeva di fare la pipì in piedi. Fare pipì in piedi è dovuto alla conformazione anatomica dell’apparato con cui oriniamo, ovviamente, non ha niente a che fare con i geni maschili e femminili. Alcune tartarughe orinano dalla bocca, ad esempio.

Ma la stessa cosa potremmo dirla di quasi tutti quelli che consideriamo “comportamenti maschili” o “comportamenti femminili”.

  • COMPORTAMENTO FEMMINILE. Farsi la ceretta, fare shopping, comprare scarpe e borsette, truccarsi, usare i tacchi a spillo, parlare di sentimenti, mettere orecchini e collane, fare le faccende domestiche, mettere le calze a rete, portare i capelli lunghi, indossare minigonne, coltivare i fiori…
  • COMPORTAMENTO MASCHILE. La definizione di maschio invece è data in senso negativo: non fare niente di tutto questo. In aggiunta: tifare il calcio/il rugby/il baseball, fumare, bere alcoolici, guidare l’automobile, fare a pugni.

Già leggendo l’elenco avrete storto il naso: ci sono uomini che portano capelli lunghi e orecchini, cuochi e fiorai. Ci sono donne tifose di calcio e autiste di autobus, con capelli corti e senza desiderio di shopping. Ma chi ha stabilito queste differenze? La cultura. Cioè, se un uomo mette lo smalto non è meno uomo. E le donne che lo mettono non lo fanno perché sono spinte da un “gene dello smalto” che hanno solo le donne.

In altre parole, queste differenze sono sciocche. Non hanno niente a che fare con la mascolinità e la femminilità. Così come nascere a Napoli non significa essere ladro e superstizioso, nascere nel Piemonte non determina l’essere falso e cerimonioso e il nascere in Svizzera non comporta una genetica della puntualità. Si chiamano stereotipi. Esistono per una ragione storica, e non c’è ragione di combatterli finché rimangono simpatiche colorazioni della vita personale. Basta non crederci troppo. E non imporli.

In altre parole: le donne che vogliono fare shopping, tingersi i capelli, mettersi lo smalto fuxia e portare le scarpe col tacco a spillo (anche se non fa bene alla postura e alla muscolatura) lo continuino a fare. Ma siamo nel 2018, sarebbe ora di iniziare a pensare che se le stesse cose le facesse un uomo questo non direbbe assolutamente nulla sulla sua virilità e identità. Sono comportamenti, nient’altro che comportamenti.

Ma allora maschi e femmine sono uguali?

No. Ci sono comportamenti legati a differenze della struttura corporea e comportamenti legati a differenze della struttura cerebrale. Mediamente, il corpo di maschi e femmine è differente. E in piccola parte anche il cervello. È un argomento che ho approfondito in un incontro al Centro Psike tempo fa e sul quale non mi dilungo. Ma certi mestieri, atteggiamenti e comportamenti sono diventati stereotipi degli uomini o delle donne perché ad esempio mediamente l’apparato muscoloscheletrico degli uomini è più robusto di quello delle donne (si tratta di una media e non in tutte le aree geografiche è così). Certi modi di pensare e di relazionarsi (“atteggiamenti”) sono legati alla diversità del connettoma e alla diversa concentrazione di testosterone che porta i maschi ad avere atteggiamenti più fisicamente aggressivi (e quindi giochi più fisici) rispetto alle femmine.

Forse è più facile se ci ragioniamo in questi termini: dividere gli oggetti in maschili e femminili è una grande sciocchezza. Lo smalto e il ferro da stiro non hanno niente di “femminile”; le costruzioni e il pallone non hanno niente di “maschile”. Esistono però degli oggetti tipici delle donne come gli assorbenti, il reggiseno etc. e oggetti tipici degli uomini come ad esempio il sospensorio. Quelli sì possiamo definirli “maschili” e “femminili” in senso stretto.

In definitiva, il punto non è dare ai bambini un ambiente neutrale  ma insegnare loro a ragionare in modo consapevole sui contenuti culturali e gli stereotipi in cui tutti noi siamo immersi e valorizzare le differenze senza adottare comportamenti discriminatori e violenti. Che, se ci pensate, è l’obiettivo che anche noi adulti dovremmo raggiungere.


dr Christian Giordano

Psicologo Psicoterapeuta, mi occupo principalmente di terapia di Coppia e terapia Sessuale. Esperto in psicodiagnosi e grafologia. Appassionato di saggistica, neuroscienze e letteratura, in particolare filosofia, narrativa, fantascienza e fantasy. Linux user. → Scrivimi per info e consulenze private in studio e via Skype.