Counseling, Spending Review, Gender… Perché le istituzioni, la società e la pubblicità usano parole inglesi? Per tre motivi: pigrizia, ignoranza o disonestà.

Quando le istituzioni, i media e il marketing usano parole inglesi al posto di parole italiane lo fanno per pigrizia, per ignoranza o per disonestà.

Pigrizia

È una caratteristica tipica degli italiani. Che ci piaccia o no, nel mondo siamo visti come gente che sta sdraiata al sole mangiando pizza e suonando il mandolino (ma comunque vestiti con stile). Non è un caso se l’unico verso di Virgilio che ricordo è «Tityre, tu patulae recubans sub tegmine fagi / silvestrem tenui musam meditaris avena», cioè una poesia che parla di un tizio steso sotto un faggio a suonare il piffero. A ciò si aggiunge lo scarso spirito nazionale e il fascino un po’ servile per l’erba del vicino – che, come si sa, è sempre più verde della nostra.

Da sempre le lingue si contaminano. La purezza linguistica idealizzata dal fascismo è un’idiozia propagandistica. È innegabile però che noi italiani abbiamo una percentuale di contaminazione molto elevata. Faccio due semplici paragoni:

  1. Il mouse in francese si chiama la souris, in spagnolo el raton, in polacco mysz, in inglese mouse e in italiano… mouse. Lo stesso gioco funziona con computer, AIDS, premier etc.
  2. Se passeggiate in via Paolo Sarpi o all’Esquilino vedrete negozi cinesi con scritte cinesi menu cinesi e insegne cinesi. Poi vi spostate in un altro quartiere di Milano o di Roma e vederete scritte… in inglese! Wine bar, outlet king size, pet shop, eataly, nail art & cosmetic, Very Normal People … Secondo voi, se andate a New York o a Londra avete la stessa percentuale di insegne e pubblicità in italiano? Non scomodatevi a prendere l’aereo: la risposta è no.

Tradurre costa fatica. Chi lo fa per mestiere e gli stranieri che si sono trasferiti in Italia possono testimoniarvelo. È un atto culturale prima che linguistico. In molti casi noi italiani usiamo la parola inglese perché non vogliamo fare lo sforzo di adattarne una o inventare un neologismo. Perché sforzarsi? Restiamo sub tegmine fagi e fuck you. 

Ignoranza

«Bisogna combattere l’ignorantità». Giuro, se non l’avessimo sentito io e le mie cellule ciliate mentre un settantenne ex casellante di Roccasecca ci rampognava sull’importanza dello studio non ci avrei mai creduto. E invece disse proprio così: “Bisogna combattere l’ignorantità”. Come dargli torto?

Ricerche fatte da Serianni, Tullio De Mauro e altri linguisti dimostrano che c’è un analfabetismo dilagante. Le persone non capiscono ciò che leggono. Conoscono pochissime parole del vocabolario. Mi sono sentito chiedere cosa significa “inezia” e “mefistofelico”, “cibo non edibile”. E a chiederlo erano persone laureate!

Eh sì, la cosa più preoccupante è che un tempo gli analfabeti erano contadini e casalinghe. Oggi sono laureati che non sanno scrivere in italiano, non conoscono la grammatica e l’ortografia e non capiscono ciò che leggono. Avendo lavorato in una casa editrice e correggendo tesi di laurea e articoli di riviste l’ho sempre affermato: è pieno di analfabeti laureati. Ora lo documentano anche i numerosi temi per i concorsi e le ricerche.

L’uso di parole inglesi è dovuto in molti casi al fatto che non si conosce la corrispondente parola italiana. Ma oggi, nel 2015, con Google, la Crusca on line, la Treccani, i cellulari sempre connessi a internet etc. essere ignoranti è una scelta. Niente scuse, bro, stacce.

Disonestà

I politici che parlano di Spending review, Jobs Act, Welfare State etc. secondo voi non sanno che potevano dire revisione della spesa, riforma del lavoro, stato sociale? Certo che lo sanno. Però hanno utilizzato termini inglesi per confondere gli italiani (tra l’altro i termini inglesi usati da Mr Shish sono sbagliati, ci facciamo pure la figura da peracottari).

Ma fermiamoci un attimo: vi siete chiesti perché lo Stato Italiano utilizzi vocaboli inglesi? Perché, ad esempio, non lo dicono in francese? O in ungherese? O in tedesco? O in sanscrito? Finché si tratta di prodotti entrati nel vocabolario dagli stati uniti (computer, scanner etc.) ha un senso. Ma lo stato sociale siamo proprio sicuri sicuri che sia di origine londinese? E siamo proprio sicuri sicuri che la riforma sul lavoro sia un’invenzione americana?

È chiaro: dalla seconda guerra mondiale in poi l’inglese ha un effetto psicologico positivo sugli italiani. Prima era toccato al francese, prima ancora al latino e secoli prima al greco.
Usare termini inglesi è un po’ come una macchia di Rorschach: uno stimolo indefinito nel quale ognuno ci proietta dentro quello che vuole. Crea confusione, rende ambigua e poco limpida la comunicazione. E chi è che sguazza nel torbido e nella confusione? I disonesti, chi vuole fare malaffare, chi ha interesse che la luce non illumini i loro traffici.

Pensate ad esempio a tutta la selva di professioni pseudopsicologiche tipo counselor, coach, reflector etc. Sempre in inglese. Per fare autocritica, bisogna dire che anche certi Ordini, associazioni e altre istituzioni degli Psicologi hanno adottato questo malcostume moltiplicando le Call for ideas, Innovation Label, Question Time, Gender theory, Acceptance and commitment therapy etc.

Le parole inglesi vengono utilizzate intenzionalmente per confondere, rendere più ambigua e sdrucciolevole la comunicazione. Sono un modo per gettare fumo negli occhi. Come i capponi e il latinorum. Il lato oscuro essi sono.

Niente ritorno al fascismo

Insomma, pretendere di darsi del Voi e di chiamare Superman “Ciclone, l’Uomo d’acciaio” è un’idiozia. Indire una caccia alle streghe per costringere a dire “Calcolatore” anziché “Computer” indica quantomeno uno squilibrio mentale. Innestare nuove parole nella nostra lingua è una ricchezza, ogni parola porta con sé un pezzo di cultura, di storia e di vita.

L’impoverimento avviene ogni volta che noi italiani non aggiungiamo ma sottraiamo, usando parole straniere per pigrizia o ignoranza, gettando nell’oblio il pezzo di cultura, di storia e di vita ad esse legate. Peggio ancora se lo fa perché senza accorgersene viene manipolato da altri.

Come psicologo e come psicoterapeuta (“terapie del dialogo” le chiamano gli anglosassoni) so che il linguaggio è una dimensione centrale per il benessere psichico della persona. Ancora una volta sono convinto che la tensione tra identità e appartenenza non si risolva in modo drastico: è dannoso respingere ogni parola straniera così come è dannoso ignorare la propria lingua.

L’equilibrio dell’identità, come sempre, è dinamico e in continua trasformazione.


dr Christian Giordano

Psicologo Psicoterapeuta, mi occupo principalmente di terapia di Coppia e terapia Sessuale. Esperto in psicodiagnosi e grafologia. Appassionato di saggistica, neuroscienze e letteratura, in particolare filosofia, narrativa, fantascienza e fantasy. Linux user. → Scrivimi per info e consulenze private in studio e via Skype.